Cinema – neuroscienze e aspetti bioetici.

Il cinema è spesso diventato un potente stimolo di riflessione sulle tematiche bioetiche e psicologiche. In questo articolo faccio un riepilogo dei film legati al mondo delle Neuroscienze e della psicologia che ho visto e che possono essere interessanti anche per voi.

Sicuramente ce ne sono molti altri, tuttavia inizio da quelli che si presentano più intensamente alla mia memoria, attraverso una rassegna rapida ed efficace che vorrei in ogni caso approfondire.

Per quanto concerne la demenza senile e di Alzheimer cito: “Le pagine della nostra vita – The Notebook (USA, 2005) di Nick Cassavetes, con Ryan Gosling, Rachel McAdams, James Garner. Per quanto riguarda l’Alzheimer giovanile “Still ALice” (USA, 2014) scritto e diretto da Richard Glatzer e Wash Westmoreland, con protagonista Julianne Moore.

Per le patologie correlate all’ictus con esiti ingravescenti, il film “Amour“, un film drammatico francese del 2012 scritto e diretto da Michael Haneke. Più vicino al tema del trauma cranico con successivo risveglio dal coma: “Lo scafandro e la farfalla“, un film francese del 2007 di Julian Schnabel.

Per la tematica dei farmaci che “cancellano” le memorie, “Se mi lasci ti cancello – Eternal Sunshine of the Spotless Mind” (USA, 2004) di Michel Gondry, con Jim Carrey, Kate Winslet, Tom Wilkinson.

Relativamente alla sindrome autistica, è impossibile non pensare al popolarissimo film Rain Man (L’uomo della pioggia) (USA, 1988) di Barry Levinson, con Dustin Hoffman e Tom Cruise. E poi c’è “Adam” un film del 2009 diretto da Max Mayer sulla sindrome di Asperger.

Circa il tema della coscienza, in questo caso dovuto a encefalite letargica, va menzionato sicuramente: “Risvegli – Awakenings” (USA, 1990) di Penny Marshall, con Robert De Niro e Robin William, sul tema dello stato vegetativo permanente l’italiano “Bella addormentata“, film del 2012 diretto da Marco Bellocchio che racconta la vicenda di Eluana Englaro.

Per la schizofrenia, abbiamo “Beautiful Mind” (USA, 2001) di Ron Howard, con Russell Crowe, Jennifer Connelly.

Sull’intelligenza artificiale, menziono A.I. – Intelligenza Artificiale (USA, 2001) di Steven Spielberg, con Haley J.Osment, Frances O’Connor, Sam Robards. Più recente e oltre ogni frontiera ricordo anche “X_Machina”, un film del 2015 scritto e diretto da Alex Garland, al suo debutto da regista, con protagonisti Domhnall Gleeson, Alicia Vikander ed Oscar Isaac. Anche “Trascendence” un film del 2014 co-scritto e diretto da Wally Pfister, al suo debutto alla regia, con protagonista Johnny Depp secondo me va menzionato. Qui il dottor Will Caster (JD) è un importante ricercatore nel campo dell’intelligenza artificiale e lavora per creare una macchina senziente, capace di combinare la stessa intelligenza artificiale con l’intera gamma delle emozioni umane. Infine cito “EVA“, un film del 2011 diretto da Kike Maíllo, un altro film che gira attorno alla tematica del “robot bambino”, con non poche riflessioni etiche.

Su questo tema ce ne sono tanti e occorrerebbe un post a parte. Sull’estensione delle possibilità del cervello umano attraverso la farmacologia abbiamo “Limitless” un film del 2011 diretto da Neil Burger, basato sul romanzo Territori oscuri (The Dark Fields) del 2001 di Alan Glynn, tratta dell’effetto sconvolgente che una misteriosa e potentissima droga ha sulla vita di un uomo e “Lucy“, un film del 2014 diretto da Luc Besson e interpretato da Scarlett Johansson, Morgan Freeman e Min-sik Choi.

Infine menziono “Self/less“, un film di Tarsem Singh del 2015 che parla di come in un futuro prossimo, la mente all’interno di un corpo malato, potrebbe esser dislcoata e continuare a vivere in un corpo sano.

Ovviamente, negli ultimi due temi siamo a livello di fantascienza e questi film più che far pensare a reali sviluppi della scienza, affrontano i limiti bioetici.

Approfondirò i contenuti.

Buon cinema

Training Full Body o Split routine? Riflessioni in base al biotipo e all’obiettivo perseguito.

In passato conoscevo solo l’allenamento full body. Quello dei corsi “total body” per intenderci. Quando svolgevo un allenamento in casa, in palestra o all’aria aperta, mi veniva naturale dare stimoli a tutto il corpo. Quanti giorni dedicavo all’allenamento a settimana? Due…se riuscivo. Insomma, non ero costante. Quindi il full body era la sola risposta? Ora direi…”forse”. In questo articolo vediamo le tipologie di allenamento possibili in base a tre parametri: biotipo corporeo (costituzione data dalla genetica), obiettivo, giorni a settimana dedicati all’allenamento.

Proseguendo nella mia riflessione, posso dire che da quando ho conosciuto i magici effetti della costanza, ho ritenuto opportuno formarmi in materia e conoscere le alternative più efficaci. Con lo studio dei metodi di allenamento ho capito meglio l’importanza di suddividere il corpo in distretti muscolari ed eseguire sessioni di allenamento settimanale con una split routine (allenamento con programma suddiviso). Anche a partire da due allenamenti settimanali costanti può esser efficace dividere le routine in “Upper body” (alternando settimanalmente muscoli pull -dorso e bicipiti- e muscoli push -spalle-petto-tricipiti-) e “Lower body” (gambe e glutei). Se poi i giorni diventano 3, 4 o 5, allora è possibile fare allenamenti specializzati per gruppi muscolari precisi (unendone al massimo 2).

Quindi, nella scelta della tipologia di allenamento a cui sottoporci, dobbiamo considerare diverse cose. In particolare, queste sono:

  1. Biotipo
  2. Livello di fitness (quanto siamo allenati?) e quanti giorni a settimana vogliamo dedicare all’allenamento
  3. Obiettivo da raggiungere

Vediamo il primo elemento che ci può influenzare nella scelta del tipo di allenamento da preferire: il biotipo, ossia la nostra costituzione. Nella riflessione che seguirà, tuttavia, farò riflessioni intrecciando i tre parametri appena elencati. I tre biotipi di base sono i seguenti, anche se sono possibili categorie intermedie:

Ectomorfo Mesomorfo Endomorfo
Ossatura lunga. Fisico muscoloso: caratterizzato da una vita tendenzialmente stretta e spalle larghe. Ossatura robusta, vita larga.
Metabolismo veloce Metabolismo veloce o medio Metabolismo lento
Fisico “esile”, longilineo, minuto. Fisico “ben strutturato”. Fisico “grosso”.
Non riesce ad accumulare facilmente massa grassa (ingrassa con molta fatica) e massa magra (fa più fatica ad aumentare la massa muscolare) Accumula facilmente massa muscolare. Se lavora bene non fatica a perder massa grassa. Facilità sia ad accumulare peso che ad incrementare la massa muscolare.

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Per coloro che si rispecchiano nella prima categoria, è preferibile svolgere almeno una split routine 2 giorni a settimana, allenando il giorno 1 la parte superiore del corpo e il giorno 2 la parte inferiore. Sarebbe preferibile aggiungere almeno un terzo giorno e, in questo caso, allenare in maniera differenziata, ad esempio secondo il già citato “metodo PULL – PUSH – LEGS”. Questo al fine di  dare ai distretti muscolari stimoli sufficientemente intensi, ricordando che se lavoriamo solo (ad esempio) su gambe e glutei possiamo inserire più set e carichi più pesanti sulla parte inferiore, effettuando meno ripetizioni al fine di aumentare l’intensità dell’allenamento, rispetto ad una routine total body, dove sarà difficile, specialmente per un principiante, reggere una certa intensità, a fronte di un già aumentato volume (numero di ripetizioni x set maggiore, minori tempi di recupero e carico inferiore).

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Per coloro che invece si rispecchiano nella seconda, il tipo di allenamento da preferire dipende solo dall’obiettivo da raggiungere. Se si vuole aumentare la massa muscolare (e di conseguenza il metabolismo) o come dicono le donne “tonificare”, si possono svolgere, in base al livello di preparazione, allenamenti con split routine ad alta intensità e basso volume (orientati a lavori di forza), con medio alta intensità e medio basso volume (orientati a lavori di ipertrofia) o, anche, in alcune fasi della programmazione lavori a circuito, cardio ad alta intensità stile HIIT o Crossfit (specialmente nei periodi di cut calorico per perdere peso e definirsi di più a seguito di periodi di costruzione muscolare). Questo vale anche per l’endomorfo, solo che effettivamente la parte di costruzione muscolare richiederà più tempo e dedizione, quindi: mettersi a far cardio ad alta intensità (o bassa) fin da subito può esser solo controproducente, perché andrebbe a buttar via i sacrifici del lavoro di costruzione della massa magra!

Infine, per coloro che appartengono alla terza categoria è importante inserire allenamenti di tipo full body, i quali spesso consentono di svolgere anche attività cardio e brucia-grassi (stile HIIT, Crossfit). Perché? Questi allenamenti sono molto utili per aumentare il dispendio calorico e hanno un forte potenziale “EPOC”, (Excess Postexercise Oxygen Consumption) traducibile in italiano come “Consumo di ossigeno in eccesso post-allenamento”, indice di misurazione dell’aumento del consumo di ossigeno a seguito della intensa attività, destinato a soddisfare il “debito di ossigeno” del corpo. Questo dispendio energetico post-allenamento aumenta il metabolismo basale post training e in questi soggetti è utile, perché partendo da un metabolismo basso non potranno che godere dei benefici sul breve periodo.

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Visto che ho citato l’HIIT, ricordo che in ambito scientifico esistono 3 protocolli particolarmente utilizzati:

PROTOCOLLO TABATA. Intervalli: 20 secondi di scatto + 10 secondi di riposo (x8 volte)

PROTOCOLLO TIMMONS. Intervalli: 20 secondi di scatto + 2 minuti di ritmo lento (x3 volte)

PROTOCOLLO GIBALA. Intervalli: 60 secondi di scatto + 75 secondi di riposo (x8 volte)

Sono tutti allenamenti intensi che nei protocolli classici non superano i 15/18 minuti.

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Tuttavia, anche per gli endomorfi che vogliono dimagrire non occorre trascurare la costruzione di massa magra, la svilupperanno più facilmente ma se si doteranno di una buona massa, potranno godere non solo nel breve periodo, ma in maniera costante di un aumento del metabolismo e quindi un’inversione di tendenza sulla facilità ad ingrassare, che diminuirà. Gli allenamenti full body richiedono un maggior recupero (perché sollecitano molto di più il sistema cardio vascolare), quindi richiedono almeno 48 ore di riposo. Uno o due allenamenti full body, uniti a due allenamenti split routine (upper e lower body se si ha a disposizione due giorni o push-pull-legs si si hanno 3 giorni) possono esser un connubio vincenti. Va da sé che questi soggetti possono anche orientarsi ad allenamenti di Powerlifting e lavorare in maniera globale con routine di 3-4 giorni a settimana molto intense e pesanti, puntando proprio alla loro facilità di acquisire massa e alla loro predisposizione ad aver una struttura molto potente.

In questo caso torniamo a parlare di allenamenti full body in un accezione diversa,  sono di fatto quelli che non trascurano l’intensità, diminuendo al limite il volume. Infatti, per effettuare Powerlifter si riducono grandemente le tipologie di esercizi fino a lavorare solo sui fondamentali: panca per il petto, squat per gambe e glutei e stacco per schiena e femorali, con l’aggiunta di 2/3 esercizi complementari (trazioni, rematore, piegamenti…). Pertanto, qui, inevitabilmente, si apre una parentesi che riguarda un’altra tipologia di allenamenti full body. Scoprendo che non sono solo quelli che si avvicinano al cardio con tante ripetizioni e tempi di esecuzioni rapidi, bensì agli allenamenti di forza pura con carichi liberi e esercizi multiarticolari. Ci torneremo presto per capirne i vantaggi, non solo per gli endomorfi, ma per tutti!

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Intanto, posso rispondere alla mia domanda dell’inizio. Con solo due allenamenti a settimana anche prima avevo una scelta diversa rispetto a due ore di corso “Total Body”. Per conoscerla ho studiato e testato sulla mia pelle gli effetti di diverse routine. Affidandovi ad un Personal Trainer potrete evitare di buttar via 10 anni di tentativi ed errori, poca costanza e poca motivazione, perché di fatto, facendo un pò di movimento senza programmazione, la palestra vi farà bene alla salute, ma non cambierà il vostro corpo. 

Scienza, passione e motivazione sono alla base del lavoro del PERSONAL TRAINER.

Dr.ssa Silvia Colizzi. Psicologa Clinica e Personal Trainer.

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Stress “ingrassante”

Quante volte giureremmo di non aver mangiato in maniera diversa e magari di aver fatto tutto il possibile per svolgere una sufficiente attività fisica, ma la bilancia, nel giro di 2/3 giorni segna 1 o 2 kg di più? Sono bugie che ci raccontiamo, perché in realtà abbiamo sgarrato o ci siamo lasciati andare troppo o l’aumento (leggi la parola che segue perché è importante) “temporaneo” è dovuto ad altri fattori?

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In questo articolo, voglio centrare l’attenzione sullo stress prolungato e sulle sue conseguenze sull’equilibrio biochimico e metabolico.

Un tempo i fattori di stress erano occasionali e brevi, legati a situazioni più o meno gravi o difficili, ma generalmente più estemporanee, ora lo stress è quasi un compagno della vita quotidiana. Quando siamo stressati si verifica un super-lavoro della ghiandola surrenale, sia a livello midollare per l’emissione di adrenalina, sia a livello corticale per l’emissione di catecolamine e cortisolo, due ormoni che hanno l’effetto di aumentare l’attenzione e la gittata cardiaca, di demolire le riserve energetiche per fornire glucosio a muscoli e cervello e di preparare il corpo ad una intensa attività, innalzando la glicemia. Questo è fisiologico e naturale se lo stress è intenso e dura poco. È la nostra risposta per poter affrontare al meglio quella situazione o quell’ostacolo. Non siamo però fatti per funzionare sempre così. Oltre alle conseguenze distruttive di queste sostanze chimiche sempre in circolo di cui parlerò tra poco, spesso per trovar consolazione e appagamento temporaneo potremmo ricorrere a cibi confortanti”, ricchi di grassi e zuccheri, al fine di alzare i neurotrasmettitori preposti alla distensione e al riposo, tramite picco insulinica (Yau YH et al., 2013). Momentaneamente, se non c’è il senso di colpa, stiamo meglio perché si alza la serotonina (ormone della serenità) e la dopamina (ormone che aumenta dopo una “ricompensa”). Ma i continui picchi insulinici portano a un aumento del deposito di grasso, quindi al sovrappeso e all’obesità e nel tempo possono portare alla sindrome metabolica e poi a diabete di tipo II (Barrington WE et al., 2005).

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Ok mi potrete dire: “io non sfogo sul cibo lo stress, ma non riesco a perder peso lo stesso quando sono stressato”.

Bene, dovete sapere che il cortisolo sempre alto consuma la struttura muscolare e porta al rallentamento del metabolismo (Cliff Roberts et al., 2012). Più massa magra abbiamo (muscoli in primis) più il nostro metabolismo basale sarà alto e potrà far fronte a qualche kcal in più assunta. Ma se consumiamo i muscoli il metabolismo si abbasserà e basterà pochissimo per ingrassare.

Inoltre, nelle donne l’azione del cortisolo associata a una prevalenza di estrogeni rispetto al progesterone determina anche ritenzione idrica (Barry et al. 2008), un patologico accumulo di liquidi nello spazio extra cellulare, quindi interstiziale, in parte dovuto ad un drenaggio linfatico deficitario o all’aumento del contenuto di sodio che, richiamando acqua, fa sì che si accumulino dei liquidi in eccesso. Il cortisolo infatti, determina un continuo afflusso di zuccheri nel sangue: finché sono disponibili gli zuccheri il nostro corpo non andrà mai ad attingere energie dal tessuto adiposo, e anzi andrà a trasformare quest’eccesso di zucchero in un’ulteriore riserva di grasso. Il ristagno dei fluidi avviene in zone specifiche del corpo, che sono predisposte all’accumulo dei grassi, in particolare addome, cosce e glutei. A causa dell’alterata circolazione, insieme ai liquidi ristagnano anche le tossine. Tutto ciò non fa altro che alterare il metabolismo cellulare, che viene già compromesso dallo scarso apporto di ossigeno (Brydon L, 2011).

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L’ipersurrenalismo porta nel tempo ad esaurimento delle ghiandole surrenali, con probabile sviluppo di sindrome di affaticamento cronico e quindi bisogno di riposare nel tempo libero piuttosto che vivere una vita attiva. L’ossidazione prodotta da questi ripetuti meccanismi biochimici porta all’invecchiamento precoce dei tessuti. Quindi lo stress non è propriamente preventivo alle conseguenze del l’invecchiamento. Inoltre, lo stress cronico porta a immuno soppressione (Reiche et al., 2004) e ci si ammala con più facilità.

Quindi, se non curate anche lo stress, una buona alimentazione e una sufficiente e ben strutturata attività fisica, basteranno solo a non peggiorare la situazione, con scarso risultati in termini di miglioramento della composizione corporea. Vi può bastare investire energie in un cambiamento dello stile di vita solo per un mantenimento e non per un miglioramento del vostro corpo? Non credo. 

Sulla gestione dello stress ci tornerò in un prossimo articolo. Ora credo sia molto chiaro come la gestione del tempo personale e delle emozioni sia fondamentale anche in un obiettivo come quello di migliorare la forma fisica e di conseguenza la salute

Dr.ssa Silvia Colizzi, Psicologia e Personal Trainer

References

Barry D, Petry N: Gender differences in associations between stressful life events and body mass index. Prev Med 2008;47:498-503.

Brydon L: Adiposity, leptin and stress reactivity in humans. Biol Psychol 2011;86:114-120.

Barrington WE, Ceballos RM, Bishop SK, McGregor BA, Beresford SA: Perceived stress, behavior, and body mass index among adults participating in a worksite obesity prevention program, Seattle, 2005-2007. Prev Chronic Dis 2012;9:E152.

Reiche, E. M. V., Nunes, S. O. V. & Morimoto, H. K. Stress, depression, the immune system, and cancer. Lancet Oncol. 5, 617–625 (2004).

Yau YH, Potenza MN: Stress and eating behaviors. Minerva Endocrinol 2013;38:255-267.

 

Più fibre alimentari e grassi buoni per aumentare la risposta immunitaria nell’invecchiamento.

Il colesterolo “aumenta durante l’invecchiamento” ed è stato provato scientificamente come il colesterolo abbia un ruolo attivo nella difesa immunitaria contro agenti infettivi (batteri, virus, parassiti, ecc.). Ovviamente, il nostro sistema immunitario dovrebbe eliminare questi agenti patogeni senza troppi “alleati”, ma la funzione immunitaria diminuisce con l’età (Targonski et al. 2007). Quindi, come meccanismo compensativo, il colesterolo può proteggere dagli agenti infettivi.

Ad esempio, il colesterolo LDL (quello cattivo per intenderci) si lega e inattiva parzialmente lo Staphylococcus aureus (Bhakdi et al. 1983). Le infezioni da Staphylococcus aureus aumentano durante l’invecchiamento, poiché il suo tasso di incidenza è 3 volte più alto negli adulti di età superiore ai 60 anni, rispetto ai soggetti più giovani (Laupland et al. 2008). Inoltre, il colesterolo LDL inibisce l’endotossina batterica (Weinstock et al. 1992), la cui presenza nel sangue aumenta durante l’invecchiamento (Ghosh et al. 2015). A sostegno del legame tra colesterolo circolante e agenti infettivi, negli anziani di Weverling-Rijnsburger et al. (1997), valori di colesterolo superiori a 251 mg / dL (linea nera solida) sono stati associati a una mortalità per malattia infettiva significativamente ridotta, rispetto a valori inferiori a 193 mg / dL. 

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Ma, è possibile proteggere maggiormente il nostro sangue durante l’invecchiamento, in modo da dovere ridurre la necessità di un elevato livello di colesterolo circolante, avendo ovviamente questo controindicazioni sulla salute?

La risposta è si e si basa su maggior apporto di FIBRA ALIMENTARE nella dieta. La fermentazione della fibra alimentare da parte dei batteri intestinali produce acidi grassi a catena corta, che migliorano la funzione immunitaria della barriera intestinale (Chen et al. 2013) e diminuiscono la sintesi di colesterolo totale (Wright et al. 1990). In uno studio di 2 settimane sul ruolo della fibra alimentare nel colesterolo circolante, i soggetti che hanno mangiato solo 10 g di fibra / 1000 calorie non hanno ridotto significativamente i loro valori basali di colesterolo totale da ~ 182 mg / dL (Jenkins et al. 2001). Al contrario, un apporto di fibre nella dieta di 19 g / 1000 calorie ha ridotto il colesterolo basale totale da 185 a 150 mg / dL, e soggetti che hanno mangiato ancora più fibre di quella, 55 g / 1000 calorie hanno ridotto i loro valori di colesterolo totale da ~ 182 a 142 mg / dL.

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Nell’insieme questi dati suggeriscono che per aumentare al massimo la funzione di barriera intestinale, minimizzando così gli agenti infettivi circolanti e la necessità di un elevato livello di colesterolo buono circolante durante l’invecchiamento, può essere importante un’alimentazione molto ricca di fibre. Ma più specificatamente possono essere importanti 2 altri misurazioni aggiuntive: albumina sierica e colesterolo HDL. In accordo con gli studi di Weverling-Rijnsburger et al. e Schupf et al., in uno studio di 5 anni su 4.128 adulti più anziani (età media, ~ 79 anni), quelli con valori di colesterolo totale inferiori a 160 mg / dL avevano un rischio di mortalità per tutte le cause significativamente più elevato, rispetto a valori superiori a 240 mg / dL (Volpato et al. 2001). Ma se si considerano i livelli di albumina e colesterolo HDL dei soggetti, il rischio di mortalità differenziale è stato abolito. I soggetti con colesterolo totale basso, ma anche albumina e HDL (nel range) elevati, hanno migliorato la sopravvivenza rispetto ai gruppi di colesterolo LDL più alti.

E’ possibile, inoltre, aumentare il valore dell’HDL aumentando il consumo di olio di pesce (con circa 3 grammi di EPA+ DHA) e aggiunta di 30-60 grammi di noci. Le quantità per l’ottimizzazione possono però variare da soggetto e soggetto Anche diete a basso contenuto di carboidrati hanno dimostrato di aumentare l’HDL (Manor et al. 2016).

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Quindi, per riassumere, possiamo dire che il colesterolo con gli anni aumenta, questo ha sia effetti nocivi per la salute (se parliamo della componente LDL) sia aspetti protettivi, in termini di facilitatore della risposta immunitaria, che con gli anni diminuisce. Per poterci continuare a proteggere maggiormente dagli agenti infettivi e quindi facilitare l’aumento del colesterolo buono, sono consigliate diete a basso contenuto di carboidrati e l’assunzione di grassi buoni, come l’olio di pesce, pesce azzurro, noci (e altra frutta secca) e fibre alimentari, che oltre ad aumentare la risposta immunitaria della barriera intestinale, diminuiscono la sintesi del colesterolo totale.

Dr. Spoldi Davide, Biologo Nutrizionista e Personal Trainer

Revisione della Dr.ssa Silvia Colizzi, Psicologa e Personal Trainer

Costruire un nuovo corpo con il bodybuilding. Il primo passo!

Parlo da ex amante della corsa. La corsa che mi dava spirito, gioia, benessere, senso di libertà e mi aiutava a mantenere stabile il peso corporeo. Ovviamente, questi oltre ad altri benefici per la salute, li ritengo invariati, ma il Bodybuilding, cioè un allenamento con i pesi e i sovraccarichi mirato ai vari distretti muscolari, è il migliore per costruire muscoli tonici e definiti, aumentare il metabolismo e quindi mantenere un basso livello di grasso corporeo e ottenere proporzioni invidiabili. E’ per questo che, da quando sono diventata Personal Trainer, approfondisco quotidianamente sia gli aspetti scientifico-teorici dell’allenamento con i pesi, sia la pratica su me stessa.

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Io in qualche sessione di allenamento durante l’anno 2019.

In questo primo articolo su questo settore (in effetti è proprio il primo del mio Blog), intendo iniziare dalle obiezioni classiche che le persone mediamente fanno quando gli viene consigliato di allenarsi con i pesi per tonificare, dimagrire, migliorare l’estetica del corpo, etc…

Obiezioni classiche:

  1. Io faccio già il corso di gruppo. I corsi, soprattutto quelli con più di 4 persone, non possono esser mirati ne ai singoli distretti muscolari che più hanno bisogno di esser lavorati, né possono darti la giusta intensità di cui tu hai bisogno per migliorare il tuo corpo. Perché? Perché per una questione di sicurezza l’istruttore non potrà darti in mano un carico superiore al 60% della tua forza massima e quindi ti farà sempre rimanere in un range di lavoro aerobico o ipertrofico di bassa intensità. Quindi per aumentare il lavoro, aumenterà il volume (numero di ripetizioni, di set, diminuzione tempi di recupero, …) e per non annoiare creerà molti esercizi con varianti, non sempre utili. Quindi, certamente è apprezzabile frequentare dei corsi, ma il lavoro che si fa in sala pesi è più intenso ed efficace per costruire muscoli e proporzioni e diminuire la massa grassa.
  2.  Io faccio Crossfit / allenamento funzionale, uso pesi e faccio movimenti esplosivi. Il crossfit è ottimo in combinata per condizionare il corpo aumentare la resistenza cardiovascolare e la potenza dei muscoli, mantenere una massa grassa bassa e aumentare l’ipertrofia “sporca”, ma non per definire le proporzioni. A livelli agonistici abbiamo crossfitter con bellissimi fisici. Ma quante ore di lavoro fanno?
  3. Faccio Zumba, ballo latino-americano o altri balli…. Attività bellissime che offrono benessere al sistema cardiovascolare, ma non ridefiniscono il corpo a livello muscolare. A meno che una persona non sia cresciuta ballando e quindi avendo costruito un corpo armonioso negli anni. E’ un è un pò come per il nuoto. Quanto nuoti e da quanto? Se lo inserisci come attività a 40 anni e ci vai una volta a settimana, che tipo di beneficio fisico pensi di ottenere sulla forma e sulla composizione?
  4. Corro! Corro sempre: sul tapis roulant, al parco, per strada. Certamente fa bene! Previene l’osteoporosi, rinforza i muscoli del cuore, aiuta a mantenere bassi gli zuccheri nel sangue e potenzia la resistenza cardiovascolare e la salute in generale, ma non ridefinisce la struttura del corpo e se eccessivo, diminuisce la massa magra (muscolare) e può aumentare l’infiammazione e andar in controtendenza ad esempio al desiderio di “diminuire la cellulite”. 

Quindi, specialmente se non sei cresciuto facendo sport e non hai una massa magra già bassa, il lavoro più efficace per ricostruire un corpo che ti dia più soddisfazioni evidenti è l’allenamento per i pesi, perché è quel tipo di attività che ti permette di lavorare sui distretti muscolari specifici, decidere quanto allenare una zona carente, decidere come modulare lo stimolo allenante attraverso un diverso numero di ripetizioni, di serie, di tempi di recupero, di tempo di esecuzione, della frequenza con la quale allenerai un singolo gruppo durante la settimana.

C’è differenza tra l’allenamento di un uomo e quello di una donna in sala pesi?

La logica che governa lo sviluppo della massa muscolare nell’essere umano è la stessa per uomini e donne, quindi non c’è motivo per cui le donne debbano allenarsi con metodologie diverse. I miti del: “i set sono per gli uomini, i circuiti per le donne”, “le basse ripetizioni sono per gli uomini, le alte (anche sopra le 15) per le donne”, “il lavoro su tutti i distretti muscolari è per gli uomini, quello per le donne invece deve riguarda soprattutto la parte inferiore e gli addominali”, spero che non esistano più, a breve.

Diverso è il gusto personale, il fattore ludico e di divertimento, il fattore socializzazione etc…. ci sono molti altri fattori che spingono a scegliere attività diverse dal bodybuilding e fare solo quelle, ma se parliamo di efficacia su composizione corporea e proporzioni: l’allenamento in sala pesi è quello che più funziona anche per una donna.

E allora come ti farà lavorare un Personal Trainer nella prima fase di lavoro insieme?

Per un neofita, uomo o donna che sia, è sensato partire con un lavoro di preparazione e condizionamento, attraverso esercizi ad alta sinergia che coinvolgono grandi gruppi muscolari, programmazione composta da una buona parte di esercizi a carico libero, come Squat, Affondi e Hip Thrust per la parte inferiore del corpo, Stacchi da Terra per la schiena e per i femorali, Military Press (o Lento Avanti) in piedi o da seduto per la parte superiore (specialmente le spalle), la Panca Piana per i pettorali e terrà un utilizzo di un range delle ripetizioni ipertrofico, finalizzato allo sviluppo della massa muscolare, racchiuso tra le 6 e le 18 ripetizioni, con la maggior parte dei set attorno alle 6-12 ripetizioni. Inizialmente, è sensato allenare un muscolo più volte durante l’arco della settimana: la frequenza di allenamento preferibile per ogni distretto muscolare è di 2 volte alla settimana, successivamente, nella seconda fase è preferibile la monofrequenza per favorire il recupero muscolare che sarà stato allenato con maggior intensità, considerati i miglioramenti in termini di forza e di gesto tecnico che il cliente acquisirà nei primi 3/4 mesi e considerando che inserendo comunque molti esercizi composti (quelli che coinvolgono molti muscoli contemporaneamente) pur focalizzando su determinati distretti (muscolo target: agonista), si lavorerà anche sui muscoli secondari, sinergici e gli stabilizzatori. 

Se ancora non sei convinto. resta sintonizzato! Scriverò ancora molto a tal proposito. Questo è solo il primo step!

Dr.ssa Silvia Colizzi, Psicologa Clinica, Coach PNL; Personal Trainer ISSA, Bodybuilding Specialist ISSA

Il comportamento alimentare del bambino

Già nella fase di allattamento, l’alimentazione assume forti connotazioni comunicative e simboliche: la relazione madre-bambino, che si sviluppa moltissimo nel momento dell’allattamento, è centrale sia per la formazione del legame di attaccamento sia per la strutturazione dei rapporti di reciprocità, il bambino impara che può avere una risposta adeguata ai suoi bisogni, a fidarsi e a tollerare il distacco, in presenza di un sano attaccamento. Quindi capiamo come cibo, relazione ed emozioni siano inscindibili.

Poi, dopo lo svezzamento, va detto ai genitori che fino ai 6 anni sarà normale una certa irregolarità alimentare del bambino. Vi possono esser momenti di maggior o minore richiesta di cibo, o capricci verso determinati alimenti. Il bambino sviluppa gusti, preferenze, imita modelli, risponde ai suoi vissuti con un maggior o minore appetito, proprio come un adulto. Poi si possono osservare comportamenti particolari e ripetitivi che possono allarmare i genitori come le manie alimentari e l’alimentazione selettiva o restrittiva e l’iperalimentazione.

Innanzitutto, spieghiamo bene in che cosa consistono queste varianti al comportamento considerato normale.
Le manie alimentari consistono nella scelta da parte di bambini generalmente piccoli (età prescolare) di pochi tipi di cibo, solitamente non più di tre o quattro. Spesso i genitori si preoccupano, ma occorre non allarmarsi se tra i cibi selezionati ci sono anche sono cibi completi con i quali si possono creare dei pasti con normali introiti di macronutrienti (di proteine, carboidrati e grassi); se la fase dura poco e non genera nel bambino disagio nei contesti sociali e ricreativi (cioè se il bambino quando è con i suoi pari ricerca delle “piccole varianti” alla propria alimentazione e sperimentazione di nuovi gusti, per il desiderio di convivialità), in caso contrario il comportamento diventa ossessivo e va maggiormente monitorato.
Spesso è solo una fase nella quale il bambino esprime con forza i suoi gusti attraverso i quali conosce e fa conoscere sé stesso.

Le manie alimentari che “non passano” possono diventare un’alimentazione selettiva o restrittiva di lunga durata. In questo caso i bambini, anche avvicinandosi all’inizio della scuola primaria continuano a mangiare solo una gamma ristretta di cibi e spesso mangiano solo cinque o sei tipi di alimenti. Non vogliono provare cibi nuovi e non si riesce a persuaderli a farlo in nessuna circostanza.

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Questo può avvenire ad esempio se:
– Vi sono comportamenti eccessivamente accomodanti dei genitori che non condividono a tavola una variabilità alimentare o che appoggiano eccessivamente i gusti del bambino;
– all’opposto insistono o forzano eccessivamente il bambino cercando di spiegare razionalmente il perché altri cibi facciano bene, senza esser modelli di riferimento coerenti.

Dunque, il genitore può senza dubbio prestarsi come modello positivo, facendo vedere al bambino che nel suo piatto, oltre ai cibi preparati per lui, ci sono altri nutrienti che lui mangia regolarmente, che lo fanno stare bene, gli danno forza, energia, sorriso.
Inoltre, è necessario ascoltare il piano emotivo del bambino. In assenza di comportamenti poco consoni dei genitori, il bambino potrebbe con le sue restrizioni alimentare comunicarci altro, qualcosa che non riesce ad esprimere a parole. Quello che il genitore può fare è mettersi in contatto con il disagio. Potrebbe riguardare il bisogno di affermare sé stessi o di ribellarsi in un momento delicato per la famiglia, ad esempio conflitti ricorrenti, la nascita di un fratellino, un momento difficile a scuola. In genere, se non accompagnato da altri comportamenti “selettivi”, questa fase non porta strascichi o conseguenze dirette per lo sviluppo di un disturbo alimentare, l’importante è rimanere in ascolto e provare a veicolare una buona educazione alimentare. Favorire la comunicazione del bambino dei suoi stati d’animo, affinché il cibo non diventi il suo veicolo primario con il quale sfoga emozioni e difficoltà.

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Un altro problema spesso osservato è l’iperalimentazione compulsiva.
Alcuni bambini mangiano molto fin dalla prima infanzia e persistono nella stessa modalità durante la preadolescenza e l’adolescenza. Pur mangiando in modo eccessivo, ma non si preoccupano in maniera particolare del peso o della forma del corpo. Inoltre, non avvertono un senso di perdita di controllo mentre mangiano, né si sentono in colpa e quindi non hanno come nella bulimia condotte compensatorie (vomito autoindotto, abuso di lassativi…). Hanno però in comune con la bulimia nervosa la tendenza a mangiare molto se stressati o se provano disagio. Il tentativo dei genitori di far seguire loro una dieta raramente ha successo e di conseguenza finiscono con il vivere male il loro sovrappeso, come un qualcosa che non può esser ascoltato e compreso, ma solo aggiustato. Anche in questi casi la sinergia psicologo-nutrizionista per aiutare i genitori può esser la carta vincente.

Sicuramente in entrambi i casi il comportamento disfunzionale si sviluppa nella stessa sfera. Tuttavia, raramente un bambino con un’alimentazione restrittiva o con iperalimentazione sviluppa un disturbo del comportamento alimentare. Il loro rapporto con il cibo potrebbe rimanere come ho detto prima conflittuale, e il cibo potrebbe esser utilizzato messaggi o per gestire ansia e stress ma generalmente mancano le preoccupazioni di peso e di immagine corporea, come invece accade nei disturbi del comportamento alimentare (anoressia e bulimia nervosa o disturbi sotto soglia clinica) che possono instaurarsi già in un’età prepuberale anche in bambini che hanno sempre mangiato di tutto.

La differenza è nel bisogno che innesca il comportamento ed è su questo che uno psicologo che riceve una richiesta d’aiuto, da parte di una coppia di genitori, deve indagare ed agire.

Servizio di Psicologia Clinica e Coaching con giovani adulti e adulti (Dr.ssa Silvia Colizzi)

Da OTTOBRE 2018 il mio stile di consulenza si è rinnovato ulteriormente.

A seguito dei cambiamenti psico-sociali che respiriamo attorno a noi, sempre più persone richiedono terapie di intervento mirate, anzi molto mirate. Tuttavia, come immagino sia condivisibile da tutti, la psiche umana è complessa e un disagio, una sofferenza o un pensiero ricorrente, non sono trattabili come sintomi a sé stanti.

Per mettere insieme complessità ed efficacia mi sto formando parallelamente in Coaching.

Se hai bisogno, puoi fissare un primo colloquio e ti proporrò:

  • Due colloqui di 70 minuti ciascuno: analisi della domanda per capire il tipo di approccio preferenziale e valutazione di alcuni aspetti intrapsichici (interni) e relazionali del paziente.
  • Costo prime 2 sedute: 115 euro totale (+ 2% Enpap e 2 euro Marca da Bollo).
  • Se pagate singolarmente 70 euro ciascuna (+ 2% Enpap).

Al termine del 2° colloquio si concorda il percorso: frequenza e primi obiettivi.

Il percorso standard di consulenze psicologiche (sostegno, abilitazione-riabilitazione e counselling psicologico) prevede come principale strumento il colloquio clinico, con momenti valutativi e di intervento.

Oltre al colloquio utilizzo: Training Autogeno o Rilassamento Muscolare Progressivo di Jacobson o tecniche di Mindfulness / meditazioni guidate, tecniche di visualizzazione, PNL e cognitive.

La durata non è definibile a priori, ma indico come media durata dei percorsi completati finora, circa 6 mesi, con frequenza concordata con il cliente (generalmente ogni 15 giorni).

Le consulenze psicologiche hanno un costo di 60 euro e hanno una durata di 50-60 minuti. Se necessario effettuare una sessione più lunga (es. massimo 80 min), costo 70 euro.

Se pagate in anticipo: pacchetto 3 sedute 150 euro

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Ricevo il lunedì con disponibilità dalle 10.30 alle 20,30 il martedì e il mercoledì con disponibilità dalle 9.30 alle 20,30, il giovedì con disponibilità 9.30 alle 12.30. Un sabato al mese dalle 9.00 alle 16.00.

Grazie per l’attenzione

dr.ssa.silviacolizzi@gmail.com

+39 3664126422

Cambiare le convinzioni limitanti. Un primo passo insieme (2° parte).

Hai letto la prima parte di questo articolo? Se si, grazie! Sicuramente ti sembrerà più semplice ciò che segue. Se non l’hai letta, grazie lo stesso, entrerai subito nel vivo dell’esercizio sulle tue convinzioni.

Definiamo “convinzioni limitanti” tutti quei pensieri che girano nella mente e che anziché lasciarci sperimentare, ci frenano in antiche paure.

Spazio esercizio:

Prova a concludere istintivamente, pensando a diverse aree della tua vita (affetti, relazioni, lavoro, studio…), le seguenti frasi:

"Non posso...."

"Non riesco..."

"Non merito.."

Queste al 90% sono tue convinzioni limitanti. Quando le hai trovate prova a inserirle in queste 3 cornici percettive che ti permetteranno di osservarle in modo meno rigido:

1) Cornice Temporale

La prima cornice riguarda la durata dell’intervallo temporale nel quale un evento viene valutato.

I “non posso” sono anche “non ho mai potuto…”? Molto probabilmente no. Quindi: specifica, specifica,specifica!

Trasformali, ad esempio, in: “quando sono molto stanco, non posso…”, “quando non mi sento appoggiato, non posso…”  e inizia a far diventare meno assoluta la tua convinzione.

2) Cornice Obiettivo.

In questa cornice gli eventi sono valutati nel modo più funzionale in relazione al raggiungimento di un determinato obiettivo.

Domande utili che ti puoi fare:

  • Se modifico i miei “non posso” o “non riesco” o “non merito”, cosa posso cominciare ad ottenere?
  • Se modifico le mie convinzioni limitanti cosa incontro per la prima volta di positivo?
  • Se inizio a trovare questi benefici, come la mia vita, le mie relazioni, la mia salute…potrebbero cambiare?

 

3) Cornice “Come se”.

In questo modello, utilizzato in diversi processi di Pnl, ci si sposta con l’immaginazione nella prospettiva di una persona che ha già ottenuto ciò che desidera.

Ecco delle domande utili per assumere la prospettiva “come se”:

  • Come sarebbe se tu avessi già risolto/ottenuto x? Come ti sentiresti?
  • Agisci come se fossi capace di X.
  • Immagina di avere affrontato e risolto tutte le difficoltà legate a X . In che modo diverso penseresti e ti comporteresti ? Fallo ora, non aspettare.

Questo filtro percettivo è utilissimo nel creare lo spazio mentale ideale nel quale avviare cambiamenti positivi.

Da soli può risultare difficile fare tutto ciò. Se vuoi farti aiutare a superare un ostacolo che ti frena dall’ottenere ciò che desideri, uno psicologo perfezionato in Coaching, può guidarti in maniera efficace, dopo aver conosciuto la tua personalità e la parte della tua storia che vorrai portare.

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Dr.ssa Silvia Colizzi

Psicologa Clinica, 
perfezionata in Psicologia Giuridica, 
Neuropsicologia, 
PNL Practictioner.

Parte di quello che mi impegno a fare 
è aiutare le persone 
ad avere convinzioni più utili.

Cambiare le convinzioni limitanti. Un primo passo insieme. (1° parte)

Cosa ti frena? Cosa temi? Cosa non stai facendo solo perché non ti senti all’altezza?

Iniziamo ad esplorare il mondo delle convinzioni limitanti! L’articolo parte con un mio personale contenuto, che potrebbe esser utile. Poi si sviluppa come un esercizio fatto di domande.

Bene, siamo pronti per iniziare! Io, ad esempio, credevo “di non poter parlare in pubblico”. Pensavo alla mia timidezza dell’età infantile e adolescenziale, pensavo alle prime due presentazioni davanti ad una classe, nelle quali non mi ero sentita sufficientemente lucida per poter esporre quei concetti chiaramente e sinteticamente. Le mie convinzioni erano di 2 tipi: una legata ai miei “non posso” e una ai miei “non riesco”. Due maledetti scogli che tutti abbiamo in qualche campo della nostra vita.

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Cosa ripetevo tra me e me?

1)”Non posso parlar bene davanti ad un gruppo di persone”. Convinzione di bassa auto-efficacia.

2)“Non posso eccellere parlando davanti ad un gruppo, lo faccio meglio quando davanti ho solo una persona”. Convinzione legata a poche esperienze ripetute che sono diventate un “dato di fatto” (grande errore).

3) “Non riesco a parlar bene quando le persone che ho davanti non mi conoscono e non sanno quanto ho studiato per esser qui”. Convinzione legata ad un’autostima che ha bisogno di “riconoscimento”.

Tutto questo era altamente sabotante. Non vai da nessuna parte con queste convinzioni. Nel mio caso erano ostacolanti perché io desideravo divulgare conoscenze e parlare in pubblico!

INIZIA IL CAMBIAMENTO

Fu cosi che allora, prima di studiare PNL e tecniche di cambiamento, ho iniziato ad osservare due situazioni diverse:

  • coloro che parlano in pubblico avendo successo;
  • coloro che parlano in pubblico con diverse incertezze, apparendo timidi.

Osservavo nei corsi fatti queste diverse casistiche e riconoscevo che nel primo caso provavo stima per la persona e nel secondo caso, provavo comunque stima e ammirazione, perché quella persona aveva avuto il coraggio di rompere le sue barriere“. Ho scelto di far parte del secondo gruppo, e, consapevole degli errori che avrei fatto, della timidezza che sarebbe emersa, di qualche strafalcione e dello stress “pre-esposizione” ho volontariamente interpretato il ruolo dell’apprendista, senza più nascondermi e senza auto-giudicarmi.

Quando scegli di assumere un ruolo, sei quello e basta, non devi far “l’esperto”, “l’oratore”, sei un’apprendista che modella le sue capacità e ogni errore è un qualcosa che semplicemente “la prossima volta curerai di più”. Non avevo tecniche, ma già in maniera “naif” ciò che mi veniva detto non era più cosi determinante nella direzione intrapresa. Qualche seminario, qualche video, qualche presentazione e di “spaventoso” non c’era più nulla. Rimanevano comunque alcune convinzioni.

Durante il “rodaggio”, grazie al corso di PNL Practictioner ho imparato a lavorare sulla “gestione dello stato emotivo”. Provo a spiegarlo in poche parole.

Se associ una situazione temuta ad un’emozione dannosa per te, ti predisporrai a sentirla con tutto il corpo e sentirai davvero quella l’emozione per buona parte della situazione. Chiediti se è questo quello che vuoi? La risposta sicuramente è “NO”. Ecco una della cose che puoi fare anche tu:

  1. Sintonizzarti con tutti i sensi ad una situazione nella quale hai provato un grande senso di “soddisfazione”. Osservane i dettagli: cosa vedevi in quel momento? C’erano suoni? Voci? Che sensazioni fisiche avevi? Come percepivi la tua postura? Rivivendo quel momento intensamente, ad occhi chiusi, riporta il tuo corpo a sentire quella soddisfazione.

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Dopo la “gestione dello stato”, sul quale tornerò in un altro articolo, ho imparato a “sentirmi già là” dove ho localizzato il mio obiettivo.

Consapevole della carica energetica che esso mi dà…

Consapevole di “quanto è importante per me” (e per capire quanto una cosa è importante occorre conoscere al meglio i propri valori, perché i nostri valori non sono uguali a quelli di un amico, di un collega, non sono universali… non esistono valori giusti e sbagliati, esistono solo i nostri valori),

-> non perdo più treni importanti e soprattutto mi alleno tutti i giorni per raggiungere quegli obiettivi. Solo così ogni sforzo ha un senso, solo così anche se un singolo passo non offre tante gratificazioni, prende importanza all’interno di un viaggio più grande.

Ho imparato a farlo anche grazie alla trasformazione delle mie convinzioni attraverso nuove cornici percettive , che descriverò nella seconda parte dell’articolo (clicca qui per leggerla).

SE POSSO FARLO IO, PUOI FARLO ANCHE TU, PER QUELLO CHE DESIDERI TU!

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Se vuoi farti aiutare a superare un ostacolo che ti frena dall’ottenere ciò che desideri, uno psicologo perfezionato in Coaching, può guidarti in maniera efficace, dopo aver conosciuto la tua personalità e la parte della tua storia che vorrai portare.

Dr.ssa Silvia Colizzi

Psicologa Clinica, 
perfezionata in Psicologia Giuridica, 
Neuropsicologia, 
PNL Practictioner.

Parte di quello che mi impegno a fare 
è aiutare le persone 
ad avere convinzioni più utili.

 

 

GLI EFFETTI DEL FITNESS SULLA MENTE

Tutti ormai sanno che l’esercizio fisico è uno dei mezzi principali per combattere il sovrappeso e prevenire lo sviluppo di malattie cardiovascolari. Non tutti invece sanno, o comunque non ne capiscono il motivo, che lo sport a vari livelli influisca in modo diretto anche sulla salute del nostro cervello e il benessere della mente.

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Molti studi scientifici hanno confermato che l’attività fisica, se condotta in maniera corretta e costante migliora le funzioni cognitive e regola alcune emozioni. Abbiamo provato tutti quella sensazione di benessere al termine di una lunga e sostenuta camminata, o per gli amanti della corsa quella sensazione di frizzante energia nonostante il fiatone e le gambe tremanti dalla fatica. Anche gli allenamenti più pesanti in palestra rilasciano al termine una sensazione di gratificazione.

Alla base ci sono dei meccanismi fisiologici a breve termine come:
– l’aumento dell’irrorazione del sangue nel cervello e quindi una maggior ossigenazione;
– il rilascio nelle sinapsi (che sono lo spazio di comunicazione tra i neuroni) di numerosi NEUROTRASMETTITORI (sostanze chimiche che rispondono a specifici obiettivi). Ad esempio nel caso di un’attività fisica intensa (specialmente un allenamento cardiovascolare o di forza con diverse ripetute e medio-alto carico) si rilasceranno dopamina (il trasmettitore della motivazione e dell’appagamento), serotonina (il trasmettitore della serenità) e le famose endorfine, sostanze prodotte dalla ghiandola ipofisi (che sta alla base del nostro cervello e coordina anche meccanismi vitali come la fame, il sonno, il dolore, la temperatura…) e fanno parte di antichi meccanismi di sopravvivenza, ci permettono infatti di continuare a lottare anche quando siamo sotto stress. Le endorfine hanno un alto potente attività analgesico (contro il dolore) ed eccitante (motivante).

Per forme lievi di ansia, non cronica e non generalizzata per le quali è sicuramente utile anche un aiuto psicologico o farmacologico, e allo stesso modo per chi soffre di distimia (lieve abbassamento del tono dell’umore), l’esercizio fisico può alleviare i sintomi ansiosi e di abbattimento emotivo (Gregory L. Stonerock et al., 2015), PhD in quanto:
può aumentare il senso di autoefficacia e di padronanza di sé (Mingli Liu et al, 2015). In questo caso può esser utile per la persona ansiosa-preoccupata creare delle “ancore” durante l’esercizio costituite da “affermazioni positive” (es. “io posso superare i miei limiti”) o associare ad un gesto atletico un stato positivo. Pian piano le associazioni verranno automatiche!

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permette di entrare in contatto con maggior consapevolezza con il proprio corpo, riconoscendo come fisiologiche le modificazioni fisiologiche percepite durante l’attività fisica (sudorazione, battito cardiaco accelerato), tutte reazioni che una persona ansiosa associa al malessere psicologico (quali stati di paura, preoccupazioni…) quindi familiarizzare con modificazioni naturali insegna alla persona a temerle di meno o a saperle gestire.

Fare attività fisica migliora anche l’attenzione e la memoria. Per comprendere meglio il motivo è utile citare il concetto di plasticità cerebrale, che è definito come la capacità del nostro cervello di modificarsi in termini di struttura (quantità di sostanza grigia – neuroni – e bianca -connessioni) e di funzionalità (velocità di connessioni, aumento di possibili connessioni tra aree del cervello) se esposto a ripetuti stimoli o comportamenti.

Fare un’attività fisica in maniera costante (le linee guida dell’OMS stilate nel 2010 indicano per gli adulti tra i 18 e i 64 anni almeno 150 minuti alla settimana di attività moderata o 75 di attività vigorosa) tiene allenato anche il cervello perché:
favorisce una miglior ossigenazione di tutte le aree cerebrali e riduce la pressione arteriosa;
riduce il colesterolo nel sangue e previene formazione di placche artero-sclerotiche;
mette in circolo i neurotrasmettitori del benessere e della motivazione che portano il soggetto a svolgere globalmente uno stile di vita più sano;
stimola diverse funzioni cognitive contemporaneamente (Fernando Gomez-Pinilla* and Charles Hillman, 2013): l’attenzione, la propriocezione e l’equilibrio, la coordinazione, la motricità globale e distrettuale quindi il controllo e l’inibizione motoria, la memoria procedurale.

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Quindi queste reazioni neurofisiologiche positive, se attivate con costanza, possono modificare il cervello nel medio-lungo periodo.
Diversi studi hanno evidenziato come soggetti impegnati in attività sportive in maniera costante sviluppino maggior materia grigia nei lobi frontali (Kohl HW III, Cook HD, 2013) che sono aree utili alla pianificazione al ragionamento, necessarie ad esempio nel prendere decisioni e nell’ippocampo, quella struttura del cervello importantissima per la memoria e l’apprendimento.

Questo vale anche per una persona anziana (Michelle W. Voss et al 2013) e a tal proposito cito uno studio molto importante condotto da un team di neuroscienziati dell’Università di Edimburgo, pubblicato sulla rivista Neurology nel 2012 (Alan J. Gow et al., 2012). In questo ricerca sulla qualità dell’invecchiamento, sono stati presi in esami 691 volontari classe 1936. Ogni soggetto si è impegnato a fornire ai ricercatori informazioni riguardanti il ritmo e alla frequenza con la quale, durante la propria vita adulta, si sono dedicati ad attività motorie (dal semplice movimento quotidiano compiuto durante i lavori domestici allo sport vero e proprio) e ad attività mentali (dallo studio, ai libri letti, fino a semplici attività come i cruciverba).pilates-idosoEbbene, chi si era dimostrato più attivo, praticando con regolarità esercizio fisico, non solo possedeva una massa cerebrale più voluminosa, integra e preservata, ma anche nello sventurato caso di ictus, dimostrava di aver recuperato molto più facilmente la lesione. 

Silvia Colizzi, Psicologa perfezionata in Neuropsicologia, DSA, Giuridica e PNL -Coaching. Issa Fitness Personal Trainer.

Vedi intervista su questo argomento sul canale Youtube!